In questa pagina sono raccolte le riflessioni delle diverse tappe della Carovana dei Mutualismi 2023, di modo che tutti possano seguirne il percorso.

Tappa 1: Bari

La I tappa della Carovana dei mutualismi (16-18 giugno) è stata promossa dall’Ambulatorio popolare di Barletta, Arkadihb di Trani e dalla Comunità di autogestione del B&Rs, uno spazio di mutuo soccorso di Bari, dove si sono organizzate e tenute gran parte delle iniziative, durante le quali è emerso l’intreccio tra le pratiche mutualistiche con i percorsi di autogestione di spazi pubblici, con le esperienze di autoproduzioni connesse all’idea della gestione economica e sociale attraverso il concetto della redditività civica. Si tratta di idee e sperimentazioni che abbiamo provato a definire meglio durante i dibattiti e che esplicitiamo anche nel “Piano di co-progettazione dal basso per Villa Capriati, casa delle Arti e dei Mestieri pubblica, autogestita e solidale”, allegato a questo report. Un Piano condiviso con Fuorimercato – autogestione in movimento, la Rete nazionale per i Beni comuni emergenti e ad uso civico e l’esperienza di Mondeggi Bene comune.

Siamo partit* ponendoci delle domande, ossia delle tracce di lavoro della I tappa: “Quale significato sociale e politico attribuiamo oggi alle pratiche che combinano “la solidarietà contro” con “la solidarietà per”? Esperienze che intrecciano mutualità, rivendicazione e autogestione quanto stanno contribuendo alla riattivazione delle soggettività working class nei contesti di vita, di lavoro e sui territori che abitiamo? Sono esperienze efficaci affinché si possa porre un’inversione di tendenza di fronte allo sbriciolamento degli assi fondanti delle relazioni umane, sociali, lavorative, produttive e riproduttive? Proviamo a rispondere a queste domande partendo da pratiche di “sindacalismo a insediamento multiplo” presenti in campagna e in città, dove la riappropriazione e la cura dei beni comuni si combina con la costruzione di economie solidali e popolari, con l’attivazione di ambulatori, case del mutuo soccorso, sportelli di autodifesa sindacale”

In questi ultimi dieci anni, in città la strada fatta del progetto del mutualismo, può sembrare molta e poca allo stesso tempo. Sul piano delle energie solidali si è prodotto molto, soprattutto iniziative tangibili. Sul piano dell’impatto politico le cose sono più controverse. Da un lato c’è stata una crescita del dibattito e dell’attenzione generale sul tema del “mutualismo conflittuale” e quindi delle esperienze di solidarietà in chiave del conflitto sociale e di una prospettiva di trasformazione. Sul piano della “forza” politica e sociale le cose sono più difficili.

Insieme alle tracce sopra riportate, la domanda che ha aleggiato durante i dibattiti della I tappa e a cui è necessario rispondere è: alla prova di questi fatti, perché ha avuto e ancora senso il progetto in questione? Alla luce di nuove lotte sociali, idee e bisogni emergenti in corso, il progetto del mutualismo quanto ha bisogno di essere rinsaldato e, se è necessario, riconfigurato? Il mutualismo, per come è stato pensato, nasce da un’analisi di fondo: la crisi del movimento operaio storico. Questo non vuole certo dire che la classe operaia si sia dissolta o che non esistano più un movimento sindacale o movimenti di lavoratori e lavoratrici. Di fronte a questa crisi, di insediamento sociale, di prospettiva politica e, soprattutto, della pratica della solidarietà tra coloro che stanno nella stessa “classe”, l’idea di fondo rimane quella della ricostruzione di strumenti organizzati e di identità politica. Il mutualismo è stato pensato innanzitutto, partendo dal “far da sé”, come risposta a bisogni immediati non immediatamente risolvibili, neanche dalle istituzioni pubbliche, sempre più in ritirata negli ultimi decenni di neoliberismo caratterizzati da privatizzazioni, disinvestimenti e liberalizzazioni. Non è stato semplice ottenere risultati rilevanti da questo versante e non sarà mai semplice. I progetti mutualistici hanno sempre difficoltà, il reddito per chi ci lavora è altalenante, il miglioramento delle condizioni economiche con le sole proprie forze è una sfida immane che, tra l’altro, non deve essere nemmeno esaustiva. Tutto questo è indispensabile che sia connesso alle rivendicazioni che possono essere fatte in tema di welfare o del ruolo del “pubblico”. Per questo abbiamo anche condiviso l’esigenza di sostenere campagne come quella di “ci vuole un reddito”.

Accanto al soddisfacimento di bisogni immediati, abbiamo posto il tema delle “esperienze esemplari” come ipotesi evocativa a quello “che andrebbe fatto”. Esperienze esemplari al plurale, data la pluralità dei soggetti sociali che oggi compongono la working class. La varietà delle pratiche, delle rivendicazioni e dei linguaggi riflette prima di tutto l’articolazione di una società più diversificata che non vede più nella coppia monolitica sindacato economico e partito politico di sinistra gli strumenti più adeguati ed efficaci al contesto attuale.

In questi anni di investimento nei progetti economico-mutualistici si sono create le condizioni per connettersi ad una dimensione sindacale, partendo appunto dal bisogno di soddisfare bisogni, anche individuali e non rappresentati solo da un’attività volontaria o da un impegno politico. Per questo abbiamo imperniato i progetti di mutualismo sulla pratica dell’autorganizzazione tra solidali e tra chi è disponibile all’attivazione ponendo al centro le aspettative della propria condizione di vita e lavoro.

Il mutualismo che abbiamo immaginato è collegato all’idea del “sindacalismo a insediamento multiplo” – Saim. Idea che è stata immediatamente raccolta dalla nostra comunità per la sua fecondità e aderenza alla realtà. Uno spazio autogestito può immaginare di costruire un’attività economica basata sulle autoproduzioni e sulle distribuzioni agroalimentari, artigianali e artistiche, assieme a un servizio di sportello di autodifesa sindacale. Partendo dalla propria condizione materiale, da bisogni riconosciuti come tali e connettendoli in una accezione mutualistica, il Saim può offrire, lavorando sulle esperienze, lotte o progetti esemplari, una nuova idea di associazionismo sindacale. 

Per esplicitare meglio questo approccio, durante la tappa della carovana abbiamo messo l’accento su alcuni esempi locali. (i) Autoproduzioni agroalimentari con l’esperienza partita tra persone native e migranti nel 2014 tra Solidaria a Bari e Diritti a sud a Nardò: si coltivano ortaggi e pomodori, si vendono e distribuiscono i prodotti e la salsa Sfruttazero fuori dalla Grande distribuzione organizzata (Gdo). Solidaria è composta da persone precarie, disoccupate, solidali che si supportano nell’attività produttiva così come nelle lotte per la libertà di circolazione dei e delle migranti, per la riappropriazione di spazi pubblici a scopo abitativo. (ii) Nel 2015, a seguito di una lunga mobilitazione e col protagonismo diretto di più di un centinaio di persone migranti si è conclusa una vertenza per il diritto all’abitare con le istituzioni locali, che ha portato alla riapertura di Villa Roth, un immobile di proprietà pubblica in disuso da decenni. Da quel momento è partita un’esperienza di autogestione della struttura, diventata una casa per quasi 50 persone, dove è presente anche uno sportello di autodifesa sindacale, dove sono sorte attività artigianali, mestieri che creano percorsi di inclusione socio-lavorativa in città, tra cui anche il coinvolgimento nella filiera della salsa SfruttaZero. (iii) Riappropriazione di spazi pubblici a scopo mutualistico con l’apertura e l’avvio dell’autogestione del Bread&Roses nel marzo del 2016. L’intento è sempre stato quello di promuovere e organizzare attività mutualistiche per diffondere e distribuire le autoproduzioni agroalimentari e artigianali (attraverso un Emporio di comunità*); per diffondere le pratiche delle Arti e mestieri con il coinvolgimento e il protagonismo di collettivi, gruppi teatrali, musicali, editoriali. Questi esempi che combinano solidarietà e conflittualità, autorganizzazione e coinvolgimento diretto di soggettività working class, sono esempi di embrione di Siam. 

All’interno di queste esperienze, un altro esempio di idea del “fare da sé solidale” tra chi parte dai propri bisogni e chi offre un supporto ricevendo cibo di qualità e senza sfruttamento, è l’esperienza dell’*Emporio fuorimercato al Bread&Roses. Parte dall’impegno di alcun* componenti della Comunità di autogestione del B&Rs, che per 6/9 ore al mese – una sorta di banca ore solidale, sulla scia dell’Emporio Camilla a Bologna – contribuiscono alla distribuzione di prodotti selezionati sulla base della qualità e della sostenibilità ambientale all’interno di una vasta rete locale e nazionale agricola, agroalimentare e artigianale. Una comunità di “consumatori/trici” attivi e solidali, che partendo dalla propria condizione, si mettono al servizio di una filiera di produzione “fuorimercato” a sostegno di contadini e contadine, piccoli produttori, e attorno a questo costruisce un’attività anche politica.  Attorno a queste pratiche ci si mobilita per una transizione ecologica concreta e non addomesticata dal capitalismo verde, dal greenwashing; si rivendicano spazi e difendono beni comuni, si avviano mobilitazioni per i diritti affinché siano universali e non circoscritti all’interno di circuiti corporativi; fino a, come vedremo, fare esercizio di maggiore democrazia, a riappropriarci di potere, in forme collettive e in cooperazione.  

Attorno a queste pratiche vogliamo mobilitarci anche verso un ampliamento del welfare come è stato costruito storicamente. L’analisi sul mutualismo, così come è stata portata avanti dai lavori di Pino Ferraris, ha messo in discussione il “modello tedesco”, cioè la costruzione dei due strumenti chiave del movimento operaio nel Novecento, il partito e il sindacato che nel tempo hanno messo da parte, se non addirittura osteggiato, le esperienze nate tra la metà e fine 800, quelle fondate sul federalismo orizzontale, sul sindacalismo territoriale e sull’autogestione. I processi di irrigidimento dei partiti e dei sindacati hanno favorito la centralizzazione e il disciplinamento interno alle strutture, che ha portato alla rottura della complementarietà tra lotta per i diritti e mutualismo, tra solidarietà cooperativa e solidarietà sindacale operante nei e tra i luoghi di lavoro e tra i luoghi di lavoro e i territori, mettendo da parte la questione ambientale e della riproduzione sociale, che invece oggi fanno del movimento ecologista e transfemminista due assi imprescindibili della combinazione tra mutualità e conflittualità.

L’associazionismo diretto e fondato sul “far da sé solidale” lo abbiamo sempre combinato col “far da sé” collettivo, che si dota di strumenti di elaborazione e di pensiero. Ci siamo dotati di formazione, centri studi, scambio di saperi e conoscenze acquisite e agite dentro i percorsi sopra descritti. 

Rivendicare il welfare oggi, dunque, non può ridursi a rivendicare solo “più Stato” o la redistribuzione delle risorse, istanze fondamentali. Una organizzazione pubblica del welfare resta un bisogno ineludibile. Il mutualismo sta suggerendo al welfare nuove vie per ampliarsi e allargarsi: un centro antiviolenza, uno sportello socio-sanitario, un ambulatorio popolare, una biblioteca di quartiere, una scuola popolare, spazi di cura e ascolto, è necessario che siano riconosciute come parte del servizio di assistenza sociale, e quindi che siano esperienza finanziate e fatte crescere con investimenti pubblici lineari; una produzione autogestita che sia agroalimentare, artigianale o artistica, con un inveramento dell’articolo 43 della Costituzione, è necessario che venga dotata gratuitamente di spazi e strutture, che sia supportata da una base di partenza solida e duratura affinché non si finisca risucchiati dalle sabbie mobili delle leggi di mercato (dove vince il più forte e chi è maggiormente competitivo) o costretti a sopravvivere solo attraverso il mondo della partecipazione ansiogena e performativa dei progetti/bandi (dove ugualmente vince il più attrezzato e strutturato). Mercato e progetti/bandi dai quali non si può recidere immediatamente e senza mezzi termini. Se in alcuni casi è necessario utilizzarli per non soccombere, è opportuno metterli in discussione in maniera costante e permanente, con l’obiettivo di superarli e costruire una società egualitaria, socialista.   

Per questo una rivendicazione generale del moderno mutualismo dovrebbe passare per la richiesta di spazi, risorse, riconoscimenti della funzione sociale e pubblica di queste esperienze all’interno di un progetto innovativo di welfare pubblico e universale, uno stato sociale mutualistico in cui la presenza dello Stato sia ridotta e quella di strutture democratiche e autogestite sia ampliata nella misura del possibile, dove chi riceve il servizio si attiva nella cogestione delle attività, partecipando alla rottura della passività insita nell’erogazione dei servizi paternalistica e burocratizzata gestita unicamente dallo Stato. Su questo tema proponiamo alla Carovana l’approfondimento dello strumento della Redditività civica inserito nel Piano di co-progettazione dal basso per Villa Capriati, casa delle Arti e dei mestieri pubblica, autogestita e solidale.

Questo esercizio di attivazione porta con sé anche una prospettiva politica. Il mutualismo che intendiamo, quindi la pratica della solidarietà che incorpora il conflitto, amplia le qualità organizzative delle soggettività protagoniste in base alle proprie predisposizioni e attitudini individuali e collettive. Ma soprattutto ambisce a governare la società, ambisce a governare la produzione, a una democrazia dell’autogoverno, a un “poder popular”. Rimodellare le istituzioni della democrazia rappresentativa – che non vuol dire necessariamente prevederne l’abolizione – sulla base di nuovi “istituti” della società, fondati sull’autogestione e su una pianificazione coordinata democraticamente crea la combinazione opportuna tra autorganizzazione e gestione partecipata degli strumenti della politica. Questi sono per noi gli assi portanti di un discorso egemonico che è tutto da costruire e che ha bisogno di esperienze esemplari, di narrazioni, di cultura, di immaginario, di arte. Elementi che sono al centro delle pratiche economico-mutualistiche quali il ciclo di incontri ‘cibo, territori e resistenze contadine’, la collaborazione con case editrici indipendenti locali (Cameretta editrice) e nazionali (edizioni Alegre), con associazioni che promuovono festival e rassegne cinematografiche, ecc. 

Se questi sono i tasselli su cui innervare un progetto mutualistico per una democrazia dell’autogoverno, lo strumento operativo non può che essere una rete dei mutualismi che combina la “solidarietà per” un’alternativa di società con la “solidarietà contro” il sistema capitalistica. Che aiuta anche a costruire gli anticorpi possibili per non cadere nella trappola della rigida divisione del lavoro in compartimenti stagni tra un apparato che amministra ed eroga servizi e una società che riceve e asseconda. 

Alla tre giorni hanno partecipato:

La Scatola Blu – associazione culturale di cinema, Dikotomiko cineblog, Casina Torrebella – fattoria urbana, Collettivo Casa del Vitello, Maltospesso – produttore artigianale, Baylòn – birrificio artigianale, Mondeggi bene comune – fattoria senza padroni, Parco Gargasole bene comune, Arci La stanza di Cesco, Villa Roth – casa autogestita, Spazio 17, Sportello sociosanitario autogestito, Sportello di mutuo aiuto san Sabino, Libera Bari, Gramigna Arci, Resilienza Arci, Klap hub – piattaforma eventi autogestita, Cameretta editrice, Collettivo Locale Dischi, Autogestione in movimento – Fuorimercato


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